Jack l’adattatore
Ci sono libri che ti lasciano senza fiato appena li sfogli, soprattutto se sono pieni di polvere e tu sei allergico.
“Jack l’adattatore” è uno di questi. In una sinfonia distorta che stordisce il lettore con la potenza di un peto vegano, si dipanano le vicende tragi-tragiche (perché qui di comico non c’è proprio nulla) del protagonista. Jack si aggira in una Londra d’altri tempi, in cui il Big Ben si chiamava ancora Little Ben e la regina Elisabetta non aveva bisogno delle calze contenitive, alla disperata ricerca di un buco in cui infilarsi. I suoi vani tentativi lo porteranno prima alla frustrazione, poi alla disperazione, e infine alla stazione, dove sfogherà la sua rabbia violenta su innocenti prostitute, colpevoli ai suoi occhi di rappresentare l’archetipo vivente del pertugio a lui negato.
Lamply dà voce al popolo dei diseredati in un noir il cui fil rouge indaga le zone grigie della società, un romanzo in cui risuona l’eco di un mondo in cui una nota stonata può rompere per sempre l’armonia interiore di un uomo.
Ci siamo interrogati a lungo sulle qualità di Matt Lamply, e sulla reale capacità disformica della sua prosa. Oggi, con mia grande costernazione, posso dire, un libro che regala poco e dona ancora di meno. Un libro che non si può non avere, ma certo, potreste anche farne a meno.
mi hai fatto venire voglia di leggerlo e mi piace un sacco la chiusa di Pardo qui sopra “Un libro che non si può non avere, ma certo, potreste anche farne a meno”
ora lo cerco
un saluto da NYC
Dcf
@donnaconfuso wow, arriviamo anche a NYC 😀